ITALIA, COME NASCONO I PORTIERI
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Preparatori specifici dagli anni '80, ma si può parlare di "scuola"?
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Calcio. Viaggio alla scoperta dei segreti dei nostri "numero uno"
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di Luciano CESARETTI (giornalista)
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Da Giampiero Combi (1902) a Gianluca Pagliuca ('66), da Lucidio Sentimenti ('20)
a Walter Zenga ('60), passando per Ghezzi ('30), Sarti
('33), Albertosi ('39) e Zoff ('42).
Nei vari
decenni del secolo scorso l'Italia ha sempre proposto sulla scena internazionale
portieri di indiscutibile valore, tanto da essere considerata "la patria dei
numeri uno". Storia recente è l'esplosione di GianluigiBuffon
('78), attuale estremo difensore della Juventus e della nazionale azzurra,
peraltro lontano parente di Lorenzo Buffon ('29), anch'egli di
professione portiere negli anni Cinquanta e Sessanta.
Ma allora qual è il
segreto di questa lunga tradizione? I nostri sono talenti naturali o portieri
tecnicamente "costruiti"? E, soprattutto, è legittimo parlare di una vera e
propria "scuola italiana"?
Qualche dubbio sorge ripercorrendo proprio il
cammino professionale di Gianluigi Buffon, divenuto portiere di serie A con la
maglia del Parma non ancora maggiorenne e, per sua stessa ammissione,
centrocampista fino all'età di tredici anni. Il tempo per plasmarlo, insomma,
deve essere stato necessariamente limitato.
Nonostante ciò, Buffon
rappresenta, al momento secondo gli addetti ai lavori, il miglior interprete del
ruolo a livello europeo e mondiale. Possiede ottime doti atletiche, personalità,
senso della posizione, istinto e, soprattutto, coraggio. La sua prerogativa, la
stessa dell'udinese Morgan De Sanctis ('77) e di pochi altri in
Italia, è quella di aggredire sempre e comunque il pallone, anche tra i piedi
dell'avversario lanciato a rete.
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Una coraggiosa uscita di Gianluigi Buffon quando militava nel Parma
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Eppure persino a Buffon gli osservatori
più attenti riconoscono alcune lacune, piccoli errori di carattere squisitamente
tecnico, che esulano dall'intervento spettacolare. Alla Juventus, il numero uno
di Carrara è seguito passo dopo passo da Ivano Bordon ('51), anch'egli in
passato estremo difensore della nostra nazionale ed oggi preparatore dei
portieri.
Una figura, questa, della quale hanno iniziato ad avvalersi, in
Italia sul finire degli anni '70, solo alcune società d'élite (basti pensare che
Walter Zenga, all'Inter, ha dovuto attendere il preparatore specifico fino al
1985, quando era ormai titolare da tre anni). In precedenza era quasi sempre
l'allenatore in seconda a prendersi cura dei portieri. E' stato così nel caso di
Dino Zoff, che, al pari di Fabio Cudicini ('35), Lido Vieri
('39) e molti altri, deve quasi esclusivamente al proprio talento il
successo ottenuto in carriera.
E' evidente che l'introduzione del
preparatore specifico per portieri ha rappresentato una importante "conquista"
per la categoria. "I talenti - spiega Giovanni Galli ('58), numero
uno dell'Italia di Bearzot negli anni Ottanta - nascono anche fuori della
nostra penisola, ma noi abbiamo il merito, non trascurabile, di affinarne le
qualità". In effetti, portieri come Ray Clemence ('48), Peter
Shilton ('49) e, soprattutto, Gordon Banks ('37) - autore, ai
Mondiali messicani del '70, di quella che ancor oggi è ritenuta la più grande
parata di tutti i tempi - sono nati in Inghilterra, i vari Sepp Maier
('44), Toni Schumacher ('54) e Oliver Kahn ('69) sono
tedeschi, mentre la Russia, ancor prima di Rinat Dasaev ('57), ha dato i
natali ad un certo Lev Yashin ('29), l'unico portiere premiato con il
Pallone d'Oro.
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La “parata del secolo” di Gordon Banks su Pelè ai Mondiali di Messico ‘70
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Persino il piccolo Belgio ha avuto
esponenti del calibro di Jean Marie Pfaff ('53) e Michel
Preud'Homme ('59), mentre in Danimarca farebbero addirittura un monumento
a Peter Schmeichel ('63), capace di vincere quasi da solo gli Europei del
'92 e per otto stagioni punto di forza del Manchester United. Che anche
all'estero ci sia la cosiddetta "materia prima" i nostri club lo hanno capito da
qualche anno. Le scommesse del campionato cadetto si chiamano Cejas
('75), Avramov ('79) e Gillet ('79), mentre sono
diciotto i portieri stranieri arrivati in serie A, tra i quali Claudio Andrè
Taffarel ('66), campione del mondo con il Brasile nel '90, l'austriaco
Michael Konsel ('62), il nazionale olandese Edwin Van der Sar
('70) e il fresco vincitore della Champions League, nonché erede di
Taffarel nella Seleçao, Nelson Dida ('73). La maturazione di
quest'ultimo - secondo Galli - è emblematica: "Quando arrivò al Milan, Dida
era tecnicamente disastroso, si tuffava come un pallavolista. Grazie a William
Vecchi ('48), portiere negli anni Settanta e attuale preparatore
dei numeri uno rossoneri, è migliorato molto anche nelle uscite e nei movimenti
laterali". Dietro i progressi di Dida, dunque, William Vecchi, il fido
collaboratore di Ancelotti già noto per aver lanciato Buffon. Parole d'elogio
nei suoi confronti anche dal portiere dell'Udinese Morgan De Sanctis: "Quando
ero alla Juventus, per sei mesi, ho avuto modo di lavorare con lui e posso
confermare che nel suo campo è un vero fenomeno". Già, ma da chi avrà
appreso Vecchi determinati metodi di allenamento? Le sue teorie, le sue idee
coincidono con quelle dei suoi colleghi? De Sanctis precisa: "Ogni
preparatore ha le proprie convinzioni, frutto anche del proprio bagaglio di
esperienze. Le strade quindi possono essere diverse, ma l'aspetto importante
è che in Italia al portiere viene comunque associata una preparazione specifica.
Chissà, i colleghi stranieri che ora giocano da noi, rubando i segreti del
mestiere, un giorno potrebbero riciclarsi come preparatori". Walter Zenga,
attuale allenatore del National di Bucarest, concorda: "In Italia si è capito
che intorno al portiere bisogna lavorare. C'è un'attenzione maggiore rispetto
agli altri Paesi, ma non credo sia possibile giungere ad una uniformità di
vedute perché alla fine ognuno interpreta il ruolo a seconda delle proprie
caratteristiche". Non esistono insomma delle norme precise, non c'è un vero e
proprio iter formativo, non disponiamo di docenti specializzati. Vale la pena, a
questo punto, tornare un attimo indietro e ripercorrere le tappe più
significative della carriera di De Sanctis. Il portiere abruzzese è un altro
ragazzo prodigio del calcio italiano, avendo esordito con il Pescara nel
campionato cadetto all'età di 17 anni. Nell'estate del '98 la Juventus sembrava
puntare forte su di lui, considerato allora il naturale erede di Angelo
Peruzzi ('70). Chiuso, tuttavia, dallo stesso Peruzzi e da
Rampulla ('62), De Sanctis collezionò solo tre presenze nel
campionato '98-'99, troppo poche per meritarsi la fiducia della dirigenza
bianconera e di Carlo Ancelotti in vista della stagione successiva. A Torino
sbarcò, infatti, Edwin Van der Sar e De Sanctis, con il beneplacito di Vecchi
(ma non era un intenditore?), fu costretto a fare le valigie. Tre anni
difficili, da secondo di Turci ('70), anche a Udine, poi finalmente un
posto da titolare. Nello scorso torneo De Sanctis si è segnalato come uno dei
migliori nel suo ruolo per continuità di rendimento, segno che la Juventus e
Vecchi (!) sul suo conto si erano sbagliati. Ma l'affrettata "bocciatura" di
Morgan De Sanctis da Guardiagrele (Ch) non è stata l'unica in Italia. Il Milan,
tanto per fare un esempio, ha lasciato che Carlo Cudicini
('73), figlio di Fabio, prendesse la via dell'Inghilterra, dove è
stato addirittura eletto miglior portiere della Premiership. E poi c'è Marco
Amelia ('82), scartato due anni fa dalla Roma e oggi titolare, oltre che
del Lecce, anche della Nazionale Under 21 di Gentile. De Sanctis, Cudicini e
Amelia rappresentano, dunque, tre sviste, tre errori commessi dai nostri
cosiddetti "esperti". Rispetto ad altri paesi, almeno, abbiamo riconosciuto
l'importanza del lavoro specifico, ma ai nostri istruttori non è richiesto alcun
patentino, attestato o diploma. E, di conseguenza, nessuno dei nostri portieri
ha i tratti distintivi della "scuola italiana", che, di fatto, non esiste. Ecco,
dunque, il portiere che aggredisce il pallone e quello che getta il corpo
all'indietro, chi si lancia dopo aver effettuato un passo e spostato il bacino e
chi, invece, fa il cosiddetto "arco".
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L’uruguagio carini, ai mondiali di corea e giappone, si lancia dopo un passo/span>
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Un tuffo “ad arco” del milanista christian abbiati
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Ecco, dunque, l'Italia che si lascia scappare Carlo Cudicini e la Roma che
boccia Amelia. Ecco, infine, tanti interrogativi irrisolti: qual è la giusta
posizione delle braccia al momento del tiro? E in quali occasioni si deve
intervenire con la mano esterna? Qualcuno ai ragazzi del settore giovanile dovrà
pure spiegarlo. Troppo facile lavorare sui Buffon, i Peruzzi e i De Sanctis.
Portiere di serie A si nasce, di C, forse, lo si può ancora diventare.
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